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Domanda Psicoterapia o psicanalisi?

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9 Anni 1 Mese fa #38175 da Laura80
Risposta da Laura80 al topic Psicoterapia o psicanalisi?

broli86 ha scritto: quindi meglio un'analista che uno psicologo classico secondo voi?


Iinnanzitutto meglio uno psicoterapeuta di uno psicologo, questo senza ombra di dubbio.
Poi si tratta di capire quale orientamento terapeutico è il più adatto per la singola persona.
Io personalmente non apprezzo per es. la terapia cognitivo-comportamentale, ma conosco persone che si sono trovate bene...

Per quanto riguarda l'analisi, come diceva Clara è un'altra cosa. Io non credo sia per tutti però in questo senso: è molto impegnativa, in termini di tempo, costi e grado di cambiamento e approfondimento su di sé che bisogna essere pronti ad affrontare. A 18 anni non ero pronta per un'analisi, a 25 sì.

Poi se devo essere secca secca dico questo: secondo me, varrebbe sempre la pena di intraprendere un'analisi, indipendentemente dalla presenza o meno di sintomi.
Tutto di guadagnato, fermo restando che prima mi informerei bene sull'analista.
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9 Anni 1 Mese fa - 9 Anni 1 Mese fa #38177 da Clara
Risposta da Clara al topic Psicoterapia o psicanalisi?

...è molto impegnativa, in termini di tempo, costi e grado di cambiamento e approfondimento su di sé che bisogna essere pronti ad affrontare. A 18 anni non ero pronta per un'analisi, a 25 sì.Poi se devo essere secca secca dico questo: secondo me, varrebbe sempre la pena di intraprendere un'analisi, indipendentemente dalla presenza o meno di sintomi.
Tutto di guadagnato, fermo restando che prima mi informerei bene sull'analista.

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Ultima Modifica 9 Anni 1 Mese fa da Clara.

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9 Anni 1 Mese fa #38183 da elena
Risposta da elena al topic Psicoterapia o psicanalisi?
Il problema di chi sia l'analista non è affatto secondario

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9 Anni 1 Mese fa - 9 Anni 1 Mese fa #38186 da Clara
Risposta da Clara al topic Psicoterapia o psicanalisi?
Alcuni brani da questa conferenza:
V Giornata di studio L’ATTO ANALITICO a cura del Progetto “Libertà e Psicanalisi” Firenze, 16 novembre 2013

Penso che lo psicanalista non sia un medico di corpi né un dottore d’anime. Credo che si interessi di un terzo evento che si chiama inconscio o domanda o parola, che non rilascia mai il suo senso fino in fondo....

...Non sono un dottore di corpi ma un po’ devo intendermene, se non altro perché i corpi, come tutto, sono effetti di parola, come ogni cosa del reale, che esiste solo nel momento in cui colpisce, viene rappresentata, presentata.
Ogni tratto di reale, come ogni corpo, rilascia un senso, ma mai tutto. Il rilascio, vorrei che ci concentrassimo su questo.

Non sono tuttavia così esperto di corpi al punto da sapere se esiste nella medicina un farmaco che rilascia i suoi effetti nel tempo, per molto tempo o dopo molto tempo a venire.
In psicanalisi esiste di sicuro un farmaco di questo tipo, è il più importante di cui dispone. Non è una medicina, si chiama analisi, nel suo atto....
Nel suo atto e nel suo tempo strano, l’analisi è un rilascio non riducibile a posologia, durata, prognosi. Contrariamente a ogni psicofarmaco e a ogni psicoterapia, l’analisi non riduce il suo tempo al qui e 1'ora della somministrazione. La psicanalisi non è una medicina, per la sola ragione che l’inconscio non è una malattia.
Non è da curare, ma è lui che si prende cura di noi.

Fare analisi. Ma l’analisi è un fare? Se lo è, per fare cosa? Di principio e dal principio mette in crisi la padronanza dell’umano su se stesso.
Ci si potrebbe allora rivolgere all’analista, chiedendogli, più o meno urgentemente, di fare qualcosa, almeno lui.
Ma lui non fa. I suoi atti sono scarni. Saluta, accompagna al divano, poi si alza, accompagna alla porta, risaluta. Fine. La volta dopo, uguale. Dov’è il suo fare, la sua azione? Dov’è l’atto analitico?
Perché parlare di atto in psicanalisi, dal momento che la posizione dell’analista è caratterizzata dal suo non-agire? Il fatto è che l’atto non è l’agire, in questa condizione. Non è neppure un dire, l’atto analitico, anzi lo psicanalista sta quasi sempre in un'ombra di silenzio e se parla, spesso parla troppo.
Dunque? Possiamo suggerire, con Lacan, che l’atto analitico rilascia grazie a questa testimonianza: la sola presenza dell’analista.

Lacan può dire che l’atto psicanalitico si inaugura nel passaggio - nella formazione - da analizzante ad analista. Dove cioè il desiderio dell’analista trova il suo farsi luogo etico. È qui che si può capire come l’atto, l’agire di cui stiamo parlando, nell’analisi si trova proprio dalla parte di colui che sembra fare poco, l’analista.

Egli o ella avrà imparato che «lo psicoanalista nella psicoanalisi non è soggetto [nel senso del padrone, dell’autore]» e che «se ne deduce che egli opera in quanto non pensa».
Per questo il suo atto è inadatto al revival di qualsiasi adattamento. L’analisi non adatta né riadatta, l’analisi attua, crea una lingua...
Ultima Modifica 9 Anni 1 Mese fa da Clara.

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9 Anni 1 Mese fa #38189 da elena
Risposta da elena al topic Psicoterapia o psicanalisi?
Ma scusa che cos'è allora? Il convitato di pietra?
Non dice una parola, ti apre la porta e poi la richiude, (idem col portafoglio, è pur sempre una prestazione del suo sacro tempo) diventa il luogo dello scarico di una ricapitolazione dei momenti in cui si affiora o si percepisce un inconscio che guida l'atto ,
L'analista non interferisce nel processo, perché è silente (ma se lo fosse veramente la sua presenza sarebbe benedetta purtroppo così non è mai) si dice che il suo non fare provoca l'uscita allo scoperto del nascosto da sempre x risonanza.
La lingua di cui parla l'analista di cui sopra in realtà dovrebbe essere un atto zen, un modo di creare un'apertura sicura accogliente mistica, se vuoi, un non agire sacro, un sistema per creare uno sgambetto alla mente perché finalmente molli la presa, si arrenda all inconcepibile, e nulla più interferisca. Spinta fortemente, strattonata a volte all'improvviso questa padrona incombente, persino con un gesto, un movimento (se si è bravi nel silenzio) assiste , si fa testimone del parto del mai nato, non serve nemmeno che "parli" perché a quel punto è la voce "dell'altro" che guida.
Un miracolo come questo è raro. Un analista per arrivare a questo "sparire per testimoniare" permettendo spazio a chi è abituato
a sfuggire dalla luce fa uno "sforzo" su sè che richiede un allineamento costante
Troppo spesso invece "capita" l'abitudine, il percorso saluta accompagna al divano poi si alza accompagna alla porta e risaluta diventa un rituale che invece di dare il benvenuto e l arrivederci alla magia della nascita, diventa un tempo di ristagno di pensieri ingombranti per entrambi, un rumore di fondo che non porta a nulla
Allora il tempo si fa necessario come un atleta che per prepararsi alla gara si dedica con costanza ad allenarsi, ma quel tempo costa, purtroppo a volte non soltanto in danaro
Il non cogliere segnali di una pressione impropria nella dinamica dell'altro che invece di uscire innocuamente deforma maggiormente la realtà e non la sostiene come la si può chiamare? Analisi fallita?
Se l'analista dorme o interferisce in modo inidoneo non può fare analisi, può solo tornare in analisi, e a lungo, perché nn ha capito nulla ( anzi mi chiedo come mai non funziona il supporto al l'analista)

Inoltre l'analisi non è per tutti (mi chiedo se l'analista invece lo può fare chiunque con il necessario training come sostiene l'articolo che riporta Clara: chiaramente non è così e spesso anzi proprio per questo si incontra l'arroganza)

C'è chi neanche avverte il bisogno per incoscienza delle proprie dinamiche (e questo non necessariamente è legato all'età fisica)
C'è chi trova una via diversa per "comprendere=prendere con sè" l'incomprensibile, come afferma Cecilia
C'è chi sceglie le cure palliative, come alcune tecniche, che però generano sollievo e un analista avrebbe l'obbligo di conoscerle non dovrebbe disdegnarle se del caso, prima che accada l'inconcepibile
C'è chi non riesce a chiedere aiuto, c'è chi non può chiedere aiuto visto i costi e il tempo richiesto, e infine c'è chi viene obbligato e non è pronto

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9 Anni 1 Mese fa #38193 da elena
Risposta da elena al topic Psicoterapia o psicanalisi?
Insomma vai dall analista, e scopri che oltre alla tua amica assordante e chiacchierona che nn sputa mai nemmeno quando smetti di ascoltarla, c'è un'altra voce, una vocina piccina e apparentemente dispettosa xc sabota costantemente le tue aspettative.
noi siamo li a visualizzare e desiderare, e quella si muove nella direzione opposta, tanto per renderci la vita più miserabile e frustrante. Certa analisi dà spazio alla voce dissonante così che ci si renda conto con chi abbiamo veramente a che fare.
Ma c'è un ma. Le voci che troviamo dentro di noi non sono solo due, la mente e l'inconscio. C'è qualcosa d'altro. Un'altra voce, e forse altre più sottili o più grossolane, tra queste ultime è facile annoverare quella dei genitori, che hanno le loro vocine e le loro dissonanze, quelle degli amici, parenti, insegnanti, colleghi di lavoro, la comunità in cui siamo inseriti, ognuno con qualcosa da dire, ognuno a influenzare l'influenzabile, ognuno a parlare anche quando la mente non sente. Qualcun altro lo fa, però.
Affiora in analisi l'inconscio
Ma il resto?
Il super conscio? Anche quello ci parla e spesso noi non lo ascoltiamo, tanto per creare nuove dissonanze.
Un modo di esprimersi diverso, un linguaggio diverso, ma impattante eccome.

Dunque siamo li. Magari malati. Vogliamo guarire, chiediamo aiuto al nostro inconscio, che non saboti l'atto. Ma sappiamo che dobbiamo interagire anche con qualche altro? Spesso no.
L'analisi va avanti, c'è sempre qualcosa da scoprire, qualcosa di affascinante (chi ha detto che siamo esseri semplici? Azione reazione? Mica siamo proprio bidimensionali o tridimensionali). L'analisi prosegue se possiamo permettercelo, e passiamo la vita solo con una dimensione o due. Ma la vita è più complessa di così.

Intanto scopriamo che realizzare i nostri desideri, qualunque essi siano, vuol dire mettere d'accordo inconscio e mente, ma non basta e se non diamo spazio anche al resto rimarremo incastrati a non realizzare nulla. I segnali arrivano ma siamo talmente irretiti a scavare e scavare, oppure a esternare, a dare spazio alla chiacchierona, che tra parentesi nutriamo sempre in modo spropositato ( l'obesità della mente e gli otto volanti emotivi) che nemmeno se la malattia colpisce duro, alla fine prestiamo orecchio ad una altra voce. Lo scandalo di certa analisi sta proprio nel dimenticare la multidimensionalità della persona.

Per cui per ottenere tocca allineare tutto il nostro essere
Quindi ciò vuol dire dare spazio ad altre parti di noi che minimamente nutriamo, o meglio affoghiamo nel l'immondizia del chiacchiericcio, troppo presi dall esternare , mai attenti se cosa esterniamo è allineato alla volontà di qualcosa d'altro.
Questo vuol dire nuovi conflitti. Nuove occasioni di ammalarsi. Perché la malattia esterna il disagio del non detto, ma anche del non fatto secondo la Legge, la casa del nostro Io superiore (chiamatelo come volete). Per cui ecco il vero significato di educazione
Educhiamo la piccola la media e la grande voce ad accordarsi.
Questa è la sfida che ci troviamo ad affrontare.
E non siamo soli, c'è sempre chi cerca di aiutare il processo, nella speranza di vederci diventare dei maghi a rendere i corpi forti a sufficienza, come barche corazzate contro ogni bufera, che a dispetto di bordate e mulinelli, di colpi a destra e manca, ci conceda il tempo sufficiente a capire, a destreggiarci, a diventare maestri di noi stessi, lasciando spazio al meglio di noi, che ci renda più libera la via da percorrere senza più intoppi.
I seguenti utenti hanno detto grazie : Midiclò

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