Sono le sei del mattino del 19 maggio 2010, quando l'artista francese Arno Fabre scende finalmente dall'impalcatura, esausto, dopo avere concluso una delle sue opere politiche più geniali: isolarsi completamente dal mondo per ripubblicare, nel luogo dove venne
probabilmente scritto quasi cinquecento anni prima, un libro che gli ha cambiato la vita. Il Discorso della servitù volontaria di Etienne de La Boétie, quello che il lettore tiene ora fra le mani. Due settimane di solitudine, insieme a una giusta dose di stravaganza ed equilibrismo, per portare a termine la performance di un agitatore culturale trasformato per l'occasione in copista insonne:
riprodurre integralmente quel testo sulle pareti della camera in cui visse il suo autore, installandolo così nel posto che gli spetta.
Gli ci sono voluti 16 giorni e 16 notti per trasporre quei 58.351 caratteri: 67 righe, uno sviluppo lineare di 1167 metri e una superficie
di 48 metri quadrati. Lo doveva a quel libro. Ma ancor più - così avrebbe poi dichiarato ai giornali - ai milioni di turisti che, ogni
anno, fotografano incolumi il palazzo in cui si trova la stanza da lui tatuata con parole altrui. Nulla sospettando di ciò che quello spazio e
quelle pagine possono regalare a chi dimostri la memoria, la pazienza e la fantasia necessarie a capirli. A loro, secondo Arno, al "popolo", all'uomo qualunque, non ai rivoluzionari di professione, è infatti rivolto l'appello, terribile ed elementare, che innesca il detonatore del Discorso:
"Decidetevi a non servire più, ed eccovi liberi". La formula magica per disintegrare il potere. Perché - questo recita il teorema di La Boétie - l'oppressione si regge strutturalmente sullaconnivenza delle sue vittime.
[E. Donaggio, Introduzione a La Boétie, Discorso della servitù volontaria, Feltrinelli, Milano 2014, pp. 11-2.]
VEDI IL VIDEO
vimeo.com/19273098